SENSAZIONI, EMOZIONI…

…RIFLESSIONI RICORDANDO LA NAJA
Una sensazione è una reazione della mente ad uno stimolo esterno od interno provato attraverso gli organi di senso. Ci sono sensazioni che viviamo quotidianamente, come le variazioni di temperatura, gli odori più o meno graditi, purtroppo a volte anche il dolore.
Ma ci sono percezioni più profonde, vissute nell’animo, che si vivono solo una volta e in particolari situazioni, come ad esempio per chi lo ha vissuto il periodo del servizio militare.
E sono le sensazioni di quella pagina di vita, comune alla gran parte dei lettori, che voglio provare qui a descrivere.
Già l’arrivo per posta della cartolina di chiamata con l’indicazione del reparto e della caserma era il primo segnale che stavamo per vivere un’esperienza particolare, unica nel suo genere, che in alcuni forse provocava qualche sintomo di preoccupazione se non addirittura di ansia, mentre per altri rappresentava, terminati gli studi, l’obbligatorio ‘lasciapassare’ per entrare poi nel mondo del lavoro.
Per tutti credo che il primo giorno in caserma abbia rappresentato un momento di smarrimento, di disorientamento, sensazione questa attenuata solo in parte dalle parole di fratelli, amici e conoscenti, che già avevano fatto l’esperienza e ai quali ci eravamo rivolti per avere notizie sul mondo in grigioverde.
Come non ricordare il primo inquadramento in abiti borghesi in piazza d’armi osservati dagli sguardi di commiserazione di coloro che stavano per finire la naja e da quelli più ispettivi di un caporal maggiore o di un sergente mentre si faceva la fila al casermaggio per ritirare la borsa valigia con il corredo militare.
C’era chi il giorno prima aveva regolato la sfumatura dei capelli, che alla mia epoca si portavano lunghi, ma per molti il taglio risultava non conforme e, con mal celato dispiacere, si doveva ‘sistemarlo’ dal barbiere (il ‘Kociss’) della caserma.
Le situazioni che determinavano sensazioni di disagio in quei primi giorni in caserma erano tante e si presentavano in ogni momento della giornata.
Dal richiamo del superiore per non aver svolto bene il compito assegnato, dalla difficoltà per alcuni a restare al passo nell’addestramento formale, dalla frustrazione per alcuni di non adeguarsi a certi obblighi della disciplina che riguardavano l’ordine della divisa, la pulizia degli scarponi, il saluto al cappello, ecc.
A questo si aggiungevano le ‘tradizioni’ dei più anziani che facevano scontare ai nuovi arrivati la ‘stecca’. Episodi a cui con il trascorrere dei giorni ci si adeguava ma che spesso erano vissuti con rabbia e appunto frustrazione.
Un’altra sensazione di particolare apprensione per molti era quella vissuta il giorno della vaccinazione con la temuta iniezione sul petto.
Ma con il passare delle settimane le impressioni negative dei primi momenti si superavano con l’adattamento alla nuova realtà e anche attraverso l’apprendimento che si poteva ottenere osservando le soluzioni e le abilità messe in pratica dai commilitoni più vecchi.
Così, ad esempio, per consolidare il cubo fatto al mattino sul letto con materasso, coperte e lenzuola si imparava a ‘tirare’ la rete ai lati del letto con spago o fil di ferro, ma anche a tenere tutto il corredo in ordine nel piccolo armadio metallico o conservare perfettamente squadrata la borsa valigia sopra lo stesso armadietto.
A volte alcune sensazioni sgradite venivano giocoforza ‘superate’, come ad esempio quella del rancio militare, per tanti mai troppo apprezzato.
Quando si usciva in marcia d’inverno e arrivava l’ACL con le casse di cottura, o al campo arrivava l’ora del pasto, confezionato dai cucinieri sulla ‘rotabile’, anche la pasta scotta o la bistecca dura, criticate nel rancio in caserma, erano pietanze che ‘si mandavano giù’ volentieri.
Ma gradevole era certo la sensazione della prima licenza, del primo ‘48’ per fare un salto a casa, rivedere famiglia ed amici e raccontare loro come erano trascorse le prime settimane di vita in caserma. Nel ricordare poi alcuni momenti del servizio di leva lo stimolo della situazione vissuta dava origine a qualcosa in più di una sensazione e si trasformava in emozione.
Come quando genitori, ‘morose’ e altri famigliari erano presenti nel giorno del giuramento e vedevano magari per la prima volta con occhi diversi quel figlio, quel fidanzato o quel fratello in divisa, che non aveva più il profilo dell’adolescente imberbe di poco tempo prima, ma iniziava ad assumere un altro aspetto, che lo faceva vedere diverso da quel ragazzo che era partito da casa e quel giorno, forse, sembrava una figura di uomo ‘un po’ più grande’.
Ma nei mesi trascorsi in divisa c’era l’occasione di vivere altre emozioni, come raggiungere la vetta di un’alta montagna con fatica, sudore e certamente con qualche imprecazione, ma con un’intima soddisfazione che ci porteremo dentro anche a distanza di anni. Sicuramente l’emozione più forte per tutti credo sia stata quella dell’ultima notte trascorsa in caserma, ascoltando alla sera per l’ultima volta il silenzio, per i più fortunati la versione fuori ordinanza con le parole di Nini Rosso.
Poche righe queste per descrivere alcune sensazioni ed emozioni che tanti hanno condiviso in un’esperienza che oggi non si può più fare e che ha lasciato una traccia indelebile nella memoria di chi l’ha vissuta e a me continua a trasmettere emozione a distanza di quasi cinquant’anni.
Emozione che a volte diventa commozione, come ieri quando con altri amici ho salutato per l’ultima volta un compagno di naja andato avanti e quando poche settimane fa ho avuto l’onore di portare la bara del mio capitano al suo funerale…
…riflessioni dettate dai ricordi vissuti a vent’anni.
Roberto Casagrande
Dal Col Maòr n. 3 del 2024