BERSAGLIERE HA 100 PENNE

BERSAGLIERE HA 100 PENNE

Giuseppe De Agnoi ne ebbe una sola

Nei giorni dell’Adunata di Bassano, durante la visita alla “Mostra-raccolta storico militare 1900-1945” di Marostica, ho raccolto questa testimonianza, che mi piace riportare al lettore.

Il fatto è accaduto durante la Grande Guerra e ha potuto essere ricostruito attraverso le testimonianze di familiari, amici e commilitoni che hanno combattuto sull’Ortigara, ma soprattutto grazie a una confessione, fatta sul letto di morte, da uno dei protagonisti e responsabili della morte del povero Giuseppe.

Questi i fatti. Giuseppe De agnoi, nacque a Marostica nel 1896, primo di sei fratelli. Era ragazzo serio e volonteroso e pure bello, a giudizio delle ragazze dell’epoca.

Amava la famiglia, in particolare adorava la mamma.

Marostica era nelle immediate retrovie del fronte e, con la guerra oramai alle porte e con lo spirito sano e patriottico che animava molti giovani del tempo, anche Giuseppe si lasciò trascinare dall’entusiasmo.

Era talmente affascinato dai bersaglieri, che ne parlava spesso in famiglia: in cuor suo sognava di poter entrare a far parte del leggendario corpo dei “fanti piumati” di Lamarmora. Si fece addirittura fotografare con la divisa da bersagliere, come lo vediamo nella splendida foto.

Purtroppo per Giuseppe la realtà fu diversa e, come per la maggioranza dei suo conterranei, ebbe l’assegnazione nel corpo degli alpini e più precisamente nel 6° Reggimento, Battaglione “Sette Comuni”.

A cinque mesi dal compimento del suo ventesimo compleanno, nel marzo 1916, il nostro partì per la guerra. Un mattino, indossata la divisa nuova di zecca, lasciò la sua casa uscendo da una finestra, perché nessuno avvertisse la sua partenza, e si diresse lesto verso la stazione, per raggiungere Bassano.

Incontrata una signora, amica di famiglia, con le lacrime agli occhi le disse:
“Saluti per me i miei cari, ma soprattutto la mia diletta mamma!”.

A Bassano rimase per un breve periodo di addestramento e, dopo un paio di mesi, partì alla volta di Primolano con il suo Battaglione, al comando del maggiore Ettore Milanesio.

Proprio durante il viaggio verso il fronte, avvenne l’episodio che per Giuseppe e tre suoi compagni d’arme segnò il tragico destino.

A quell’epoca a capo delle Forze Armate vi era il generale Luigi Cadorna, che durante tutto il suo mandato tenne un comportamento ferreo e rigidissimo. La sua volontà, non fidandosi della truppa, era quella di non lasciare niente di impunito. In una sua circolare del Maggio 1915 infatti si leggeva: “Nessuna tolleranza, mai e per nessun motivo, sia lasciata impunita, la si colpisca anzi, con rigore esemplare. La punizione intervenga pronta, l’immediatezza nel colpire risulta di salutare esempio. Il comando supremo ritiene responsabili i comandanti delle Grandi Unità che si dimostreranno titubanti.”.

Nel trasferimento a Primolano alcuni “veci”, approfittando della confusione che regnava sulla tradotta e dell’ingenuità delle reclute, rubarono l’arma personale a Giuseppe e agli altri tre commilitoni.

Da Primolano il Battaglione “Sette Comuni” si diresse alla volta di Enego, per proseguire verso la Conca di Marcesina e conquistare prima la Cima della Caldiera e poi, come ultimo obiettivo, l’Ortigara, a quota 2.105.

Ai Castelloni di S. Marco gli alpini si riposarono, in attesa di dare il cambio ai battaglioni che da molto tempo erano impegnati nei violentissimi e sanguinosi scontri per fermare la “Strafexpedition” scatenata dal generale Franz Conrad, che mirava a sconvolgere le difese italiane e dilagare così nella pianura veneta.

Prima di ogni assalto particolarmente rischioso e prevedibilmente mortale, era usanza rivolgersi ad eventuali volontari disposti all’attacco.

Giuseppe De Agnoi con gli altri tre sfortunati ragazzi non ebbe neanche modo di avvalersi di quell’opportunità, in uanto, proprio a seguito del furto dell’arma, furono processati e “graziati”. E invece di subire la fucilazione davanti ai ommilitoni schierati, furono mandati allo sbaraglio verso i reticolati nemici, venendo colpiti appena fuori dalla trincea.

Il soccorso era impossibile, poiché di solito veniva prestato solo alla fine della battaglia. Un suo compagno d’arme di Marostica, Antonio Parise, così testimoniò:
<<Giuseppe pianse. Gridò e invocò “Mamma! Mamma!” per tutto il tempo che rimase a terra. Noi non potevamo assolutamente lasciare il nostro posto di combattimento per soccorrerli. Ci dissero che c’erano gli addetti.>>

Finito il combattimento avvenne il pietoso recupero dei feriti e dei morti, da entrambe le parti, ma per Giuseppe, ancora vivo, poco c’era da fare: ormai dissanguato, era allo stremo delle forze.

Giunse all’ospedale da campo e constatata la gravità del suo stato, fu trasferito all’ospedale militare di Enego, dove giunse privo di vita.

Era il 17 giugno 1916. Alla notizia della sua morte, la mamma, secondo le testimonianze dei familiari, si chiuse in un muto dolore e per anni non uscì più di casa.

Il giovane corpo di Giuseppe fu inizialmente sepolto in un piccolo cimitero di guerra, nei pressi di Fastro di Arsiè. A seguito dei trasferimenti di questi piccoli luoghi di sepoltura, si persero le sue tracce, fino a quando, grazie all’interessamento del nipote Bruno De Agnoi, fu casualmente ritrovato e le sue spoglie trasferite definitivamente al cimitero militare di Feltre, dove riposa con altri 2.500 sfortunati compagni.

Giuseppe è stato un soldato che ha lasciato la sua vita sul campo di battaglia, condividendo il triste destino di moltissimi altri combattenti.

Ma è stato soprattutto un bersagliere “in voto”, e così ci piace onorarlo, con le sue penne al vento, mentre corre sorridente, verso la sua mamma.

(Michele Sacchet)

 

 

(Brano tratti dallo Speciale Adunata Nazionale di Bassano 2008)

 

 

Foto di una tomba anonima a San Martino sul Carso da “La Grande Guerra con le immagini di Carlo Montù”

admin

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *