La guerra di “Tino”

La guerra di “Tino”

Costante De Martin, detto “Tino”: “I partigiani jugoslavi? Li ho visti solo quando ci costrinsero in ritirata.”

E’ una guerra molto soft, quella delle retrovie, raccontata da Costante De Martin, detto “Tino”. Classe 1922, puntatore al quarto pezzo, in forza al I Reggimento Artiglieria Alpina in Montenegro dal settembre del ’42 al luglio del ’43.

Chiamato alle armi nel gennaio 1942 al V° Reggimento Artiglieria Alpina Gruppo Belluno, il 23 settembre dello stesso anno è trasferito al I° Reggimento ed il giorno dopo è inviato in Montenegro via terra.

“Eravamo in un paese di nome Čajniče (o Cajnici), ad una settantina di chilometri da Pljevlja, ed il nostro compito era quello di catturare i ribelli, ossia i partigiani jugoslavi. Io ero puntatore all’obice 75/13 (preda bellica Austroungarica, prodotto dalla Skoda, del peso 613 Kg. e gittata 8250 metri, impiegato dall’Imperial Regio Esercito Austro-Ungarico durante la Prima guerra mondiale e poi in dotazione ai reggimenti di artiglieria da montagna italiani nella Seconda guerra mondiale, rimanendo in servizio anche nel ricostituito Esercito Italiano ndr) col quale sparavamo quasi tutti i giorni per lo più a scopo intimidatorio e di addestramento. Inoltre, facevamo delle incursioni quotidiane di 20-30 chilometri alla ricerca di partigiani jugoslavi; benché io non ne abbia mai visti di “ribelli”. Se non nella primavera del 1942, quando le sorti si capovolsero: i partigiani jugoslavi, ben armati e meglio organizzati di noi, ci costrinsero al ripiegamento verso Pljevlja”.

Qual è stato il momento più difficile che ha passato in Montenegro?

“Sicuramente il giorno della ritirata: avevo ricevuto l’ordine di incendiare il deposito delle granate prima di allontanarmi; solo che l’operazione durò più del previsto e rimasi solo, staccato dal resto della colonna che nel frattempo si era dileguata.Non mi rimase che avviarmi a piedi fino a quando trovai un passaggio in una jeep italiana, che mi portò a Pljevlja, sede del Quartier generale italiano, dove poi mi ricongiunsi al mio reparto”.

Il 25 luglio del 1943, mentre a Roma il Gran consiglio vota l’ordine del giorno Grandi che fa cadere Mussolini da Capo del governo, Tino De Martin inizia il rimpatrio risalendo la Jugoslavia per ferrovia.

“C’era un trenino a scartamento ridotto, infestato di pulci e cimici che ci portò a Postumia, dove dovevamo rimanere 40 giorni in contumacia, ossia un isolamento imposto ai soldati prima del rientro, per evitare il pericolo della diffusione di eventuali malattie infettive. In realtà ce ne andammo via dopo una trentina di giorni. Così ritornai a casa, a Col del Vin e poi, dall’autunno del ’44 a Prade, nella Colonia Zandomenego, dove rimasi fino al ‘57”.

Costante De Martin ai tempi della “naja”

Il 19 agosto del ’43 Tino De Martin è collocato in congedo illimitato, in quanto ha il fratello Pietro, classe 1921 partito per la Russia col III° Rgt. Artiglieria Alpina, Gruppo Val Piave, Divisione Julia, dichiarato disperso sulla ritirata del Don del 31.1.43; ed anche il fratello minore Gino, classe 1924, è sotto le armi con il 7mo Reggimento Alpini, Battaglion Belluno.

“Il 9 settembre 1943 – prosegue Tino – dopo l’armistizio (3 settembre a Cassibile, provincia di Siracusa, tra italiani e Alleati anglo-americani ndr) andai a Vicenza a trovare mio fratello Gino. La situazione era tranquilla, ci salutammo senza immaginare ciò che sarebbe successo. E pensare che se si fosse infilato un paio di pantaloni ed una camicia borghese saremo potuti ritornare a casa insieme senza problemi, visto che nel viaggio di ritorno non trovai alcun controllo sui treni. Ma nessuno dei due, in quel momento, ci pensò”.

La situazione precipita velocemente: il 12 settembre Mussolini viene liberato dai tedeschi nel Gran Sasso, il 23 fonda la Repubblica Sociale Italiana di Salò ed il 13 ottobre il governo Badoglio dichiara guerra all’ex alleato Hitler. Ora è troppo tardi per il fratello Gino, e per tutti gli altri soldati italiani che non sono riusciti o non vollero fuggire e vengono quindi internati in Germania (del resto il re e tutti i vari generaloni se l’erano già svignata il 9 settembre dal porto di Pescara per mettersi in salvo a Brindisi).

Gino morirà in prigionia il 28.12.1944 e sarà sepolto a Francoforte.

Dall’ottobre del ’44 fino alla fine della guerra, Tino è iscritto alle organizzazioni partigiane clandestine patriottiche del Btg. Pierobon, Brigata Leo De Biasi, dove mantiene il nome di battaglia “Tino”, col quale oramai era da tutti conosciuto in paese. “Il nostro comandante partigiano era Berto Borci – conclude Tino – ma io non presi mai parte ad azioni partigiane, perché il mio compito era solo di supporto logistico ossia quello di provvedere ai viveri ed alle sigarette per i partigiani che erano nascosti in montagna”.

(Articolo tratto dal Col Maòr n. 4 del 2005)

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