L’Artigliere Angelo Isotton

L’Artigliere Angelo Isotton

La Naja, l’ammutinamento e la Resistenza di un Artigliere del 5° Artiglieria da Montagna

Angelo nasceva a Campo di Mel nel 1924, era l’ottavo, in ordine di nascita, di 10 fratelli e sorelle. La sua famiglia era di estrazione contadina ed egli ha continuato ad esserlo, salvo qualche parentesi, fino ai giorni nostri.

Venne chiamato alle armi il 2 maggio 1943, presso la caserma D’Angelo di Belluno (5° Artiglieria Montagna) e assegnato alla 1^ Batteria Addestramento; aveva appena compiuto 19 anni.

Dopo tre giorni consegnarono un quaderno ed una matita a tutti i 120 uomini componenti la batteria e li sottoposero un dettato per verificarne il grado di istruzione. Nei giorni successivi venne insegnato loro alfabeto Morse.

Angelo sapeva bene leggere e scrivere e conosceva già dapprima detto alfabeto. Per questa ragione venne promosso aporale della Squadra Comando, dopo appena due settimane di naia. Il 21 giugno la Batteria salì sul Visentin dove prestò giuramento.

Qualche giorno dopo gli Artiglieri partirono in treno per Calalzo e poi a piedi raggiunsero Auronzo, dove allestirono il campo base per partecipare alle “Grosse Manovre”.

Operarono su quasi tutte le montagne dei dintorni e, facendo un giro vizioso sempre a piedi, raggiunsero Belluno la attina dell’1 settembre. E arrivò il fatidico 8 settembre 1943. L’armistizio tra il governo italiano e gli anglo-americani il cui testo, letto da Badoglio e diffuso dalla radio alle ore 19,42, prese tutti alla sprovvista.

Com’è noto le forze armate italiane vennero lasciate senza ordini, praticamente allo sbando, i soldati dovettero pensare a loro stessi, affidandosi all’istinto di conservazione e alla fortuna, per evitare di essere catturati dai tedeschi che, dopo il voltafaccia nei loro confronti, da alleati diventarono nemici.

Angelo Isotton in divisa

Mentre il messaggio veniva divulgato, Angelo e commilitoni della 1^ Batteria, ignari di quanto stava accadendo, marciavano tranquillamente di ritorno dal Nevegal alla volta della caserma D’Angelo, loro sede. La notizia dell’armistizio la ricevettero a Castion, da parte di Alpini che alla spicciolata e in gran fretta si dirigevano verso le loro dimore.

Rientrati in caserma gli ufficiali diedero l’ordine di consegnare le armi e attendere passivamente i tedeschi e darsi prigionieri.

La reazione degli Artiglieri fu immediata ed univoca: «Affrontiamo i tedeschi combattendo o tutti a casa». Al secco diniego, da parte del Colonnello, scoppiò la rivolta, un vero e proprio ammutinamento. Dei cannoni vennero puntati, dalla piazza d’armi dov’erano radunati, verso la caserma ed i cancelli, con la minaccia di abbatterli se non li avessero aperti. Ci furono anche colpi intimidatori di fucile e mitragliatrice, e finalmente i cancelli si aprirono, i rivoltosi deposero le armi e ci fu un fuggi fuggi generale.

Angelo, con alcuni commilitoni, s’avviò a piedi verso Salce, riuscì ad evitare un posto di blocco, guadò il Piave all’altezza delle Polse e raggiunse la sua abitazione a Campo di Mel il mattino seguente.

Finì così dopo quattro mesi la sua avventura da soldato. Tolta la divisa tornò a fare il contadino per alcuni mesi, poi lavorò con “l’organizzazione TODT” tedesca (civili addetti a lavori militari), come capo minatore, a S. Vito d’Arsiè.

Fece parte della Brigata Mazzini durante la Resistenza, col nome di battaglia “Lupo”. Partecipò ad alcune azioni come quella del 28.02.1945 sul S. Boldo, dove reparti nemici vennero sanguinosamente respinti dal fuoco incrociato
delle brigate partigiane “Tollot” e “Mazzini”.

Finite le ostilità Angelo emigrò in Belgio a lavorare agli altiforni. Tornò a casa nel 1951. Dal 1962 al 1970 lavorò presso le fornaci Bampo a San Fermo.

Nel 1961 acquistò la colonia dei fratelli Murer, sita a Chiaramada di Salce, dove tuttora abita con la moglie Maria.

Ha tre figli e sette nipoti.

 

(Articolo comparso sul Col Maòr n. 2 del 2009)

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