Tre bràz un franco

Tre bràz un franco

Femene profittè, solche incòi: roba da tre braz un franco… così gridavano un tempo al mercato i venditori di stoffe e tessuti

Prende avvio da questo numero una nuova rubrica pensata e realizzata per cercare di comprendere meglio alcune espressioni popolari della parlata locale che sono ancora frequentemente in uso ai giorni nostri ma di cui a volte abbiamo smarrito il significato originale, correndo così il rischio di utilizzarle a sproposito oppure, più  semplicemente, senza coglierne appieno il valore intrinseco in termini di saggezza antica, distillata in perle linguistiche di rara brillantezza ed efficacia.

Femene profittè, solche incòi: roba da tre braz un franco così gridavano un tempo al mercato i venditori di stoffe e tessuti e ancora prima così si annunciavano gli ambulanti (cramer o Krumer, i venditori ambulanti della Val dei Mocheni) che girando per i paesi vendevano a domicilio merci varie, tele e stoffe per vario uso, da festa e da lavoro.

Il “braccio” e i suoi multipli era l’unità di misura comunemente utilizzata per questa tipologia merceologica e pur possedendo precise definizioni e codifiche sancite per legge (braccio di lana 63 cm. – braccio di seta 68 cm. ecc )
veniva applicata nella pratica quotidiana con notevole approssimazione ed empiricità prestandosi quindi frequentemente a contestazioni accese nei riguardi dell’onestà del venditore.

Nel periodo della dominazione Napoleonica sul territorio Lombardo Veneto fu imposto l’uso della moneta dell’Imperatore cioè il Franco francese e anche dopo la sua sostituzione nel corso legale dalla Lira Austriaca, prima e dalla Lira Italiana successivamente, restò per lunghissimo tempo (di fatto fino all’introduzione dell’Euro) l’abitudine di indicare il denaro mantenendo indifferentemente le due nomenclature, attribuendone il medesimo valore.

Evidentemente per quel periodo un Franco (o una Lira) per tre braccia di stoffa rappresentava certamente un prezzo particolarmente vantaggioso rispetto all’ordinarietà.

Si può pensare anche che il messaggio imbonitore (oggi lo definiremmo spot) che l’ambulante proclamava a gran voce fosse de tre braz un franco cioè di tre braccia uno gratis, una sorta insomma di 3×2 ante litteram.

Ad ogni modo la naturale diffidenza nei confronti dei commercianti sospettati ragionevolmente di essere sempre l’unico soggetto tra le parti a far l’afàr, unita alle evidenti ristrettezze economiche in cui versava la popolazione media, nutrivano la consapevolezza delle acquirenti riguardo al fatto che la qualità della merce era senz’altro scadente ma, non potendo fare comunque a meno di ricorrere all’acquisto per le modeste possibilità della famiglia, le aspettative di durata per quel prodotto restavano comunque molto basse.

Con l’andar del tempo questa definizione è stata mutuata anche per valutare altre cose, beni o persone na impresta, an on, an dotòr… che val tre braz un franco.

Il significato che però è rimasto immutato riguarda la considerazione di base secondo cui il valore commerciale, professionale o morale dell’oggetto di valutazione non era certamente nascosto ma, anzi, oltre che palesemente evidente fin da subito, anche reclamizzato apertamente come tale.

 

Paolo Tormen per il Col Maòr n. 1 del 2016

 

 

In copertina Foto d’epoca dei Krumer, i venditori ambulanti della Val dei Mocheni (tratta dalla mostra “Krumer Ambulanti Mocheni – Storia di commerci in terre lontane”)

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